Un Caffè con… Fabiana Arduini

L’Architetto Stefano Bocchino, Responsabile dell’Ufficio per lo Sviluppo Sostenibile, dopo una breve introduzione delle nuove dirette live che si svolgeranno ogni lunedì per 15 minuti alle ore 13:30 sulla pagina Facebook Unitorvergata Sostenibile, ci saluta così: “Tutti noi stiamo vivendo un periodo particolarmente difficile e le università non ne sono escluse. Ci ritroviamo ormai da tanti mesi isolati nei nostri contesti, l’università senza studenti e senza professori sembra perdere la sua identità, per questo dobbiamo cercare di continuare in qualche modo a scambiarci delle idee.

Il lavoro, l’informazione e la didattica a distanza come sistema di vita non fa parte di noi. Non a caso già uno scritto del 1600 enunciava che Nessun uomo è un’isola, è nella nostra natura dare importanza alle relazioni e questa situazione rischia di avere un impatto sociale devastante. È in momenti come questi che i problemi dei cambiamenti climatici, delle isole di plastica e della sostenibilità in tutte le sue forme, sono in pericolo, perché la crisi del coronavirus darà un duro colpo a molti degli obiettivi dell’Agenda 2030: povertà, crescita, innovazione, diseguaglianze, per questo dobbiamo continuare a mantenere il contatto con il mondo nel quale viviamo perché dobbiamo creare l’occasione per trasformare questa crisi in un’opportunità umana.

Ecco che in questa situazione ci siamo riorganizzati con le interviste in diretta Facebook per cercare di fornire seppur a distanza lo stimolo per continuare e mantenere una relazione circolare”.

Prima professoressa ad essere intervenuta è Fabiana Arduini del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, nonché coordinatrice del Laboratorio di Chimica Analitica.

A condurre l’intervista è il Dottor Gianclaudio Romeo, collaboratore dell’Ufficio.

Da una sua ricerca emerge che le mascherine chirurgiche hanno capacità di filtrazione maggiore rispetto alle mascherine in cotone: ci dica di più…

Questa attività di ricerca è emersa a marzo quando avevamo difficoltà a reperire le mascherine, tanto che alcune aziende avevano iniziato a riconvertire la loro linea di prodotto e producendo le mascherine c’era anche bisogno di sistemi di analisi.

Io sono chimico analitico e con l’ARPA Lazio, in particolare con la sede di Via Saredo del Dottor Luca Amendola [1], abbiamo iniziato a sviluppare un nuovo metodo di prova, siccome il metodo ufficiale richiede un’analisi non semplice, per esempio per vedere l’abbattimento della carica batterica bisogna costruire un aerosol di Stafilococco Aureo, la nostra idea è stata quella di creare un metodo veloce di screening per capire le mascherine che funzionano correttamente e quelle invece che sono meno prestanti.

Abbiamo messo a punto questo metodo ispirati anche dai lavori dei nostri colleghi del Politecnico di Milano e dall’Università di Firenze, attraverso un sistema di contatore di particelle (osservando l’abbattimento di particelle con grandezza di circa 0,28 micron) e misurando la filtrazione con aerosol creato in laboratorio, abbiamo visto che le mascherine chirurgiche hanno un abbattimento del 98% e che il materiale di “Tessuto non tessuto” (TNT) riesce ad abbattere meglio la carica batterica rispetto al cotone: cosa particolare osservata, se aumento di due strati di TNT aumento l’abbattimento, invece nel caso del cotone uno strato abbatte più o meno quanto il secondo strato, quindi le mascherine di TNT sono più performanti.

Per quanto tempo si possono utilizzare le mascherine chirurgiche e quelle in cotone?

Le mascherine chirurgiche non sono riutilizzabili, quindi una volta impiegate non possono essere utilizzate più volte. Per quanto riguarda la tempistica ci sono dei range, più o meno c’è chi le porta 6 ore, chi 4 ore, chi 8 ore, possiamo dire che il tempo massimo non è sicuramente più di 8 ore.

Riutilizzare la stessa mascherina chirurgica è profondamente sbagliato perché se non ho l’impiego corretto del dispositivo e non riesco a filtrare, se sono una persona contagiata vado a immettere nell’ambiente l’aerosol e fare spread del virus.

A questo proposito, a causa della limitata utilizzabilità delle mascherine chirurgiche nasce un problema di smaltimento, cosa può consigliare ai nostri studenti, le mascherine riutilizzabili in cotone possono essere una alternativa?

In campo non prettamente sanitario, sicuramente si possono utilizzare anche quelle non chirurgiche, la cosa importante è che vadano comunque monitorate perché la mascherina di stoffa non è utilizzabile ad infinitum.

Anche se non è possibile ogni giorno controllare l’efficienza della propria mascherina di stoffa, è necessario che essa mantenga la capacità di filtrare, un test che possiamo fare è con la fiamma di un accendino: se soffiando vediamo che la fiamma si spegne abbiamo l’idea di quanto effettivamente sia passato attraverso la mascherina, è una prova importante perché è completamente scorretto portare una mascherina che se vecchia non ha capacità di filtraggio.

Cambiando progetto di ricerca, Lei lavora da anni sui micro sensori composti da materiali sostenibili, di recente ha brevettato una nuova tipologia di tampone rapido. Di cosa si tratta?

Per capire cosa è un sensore basta pensare alle striscette che utilizzano i pazienti diabetici per la misura della glicemia, si tratta di piccoli elettrodi stampati, nei nostri laboratori produciamo dei sensori miniaturizzati e in funzione di come li modifichiamo, ad esempio con nano materiali e bio-componenti, li rendiamo selettivi per sviluppare delle idee utili in campo ambientale, per la rilevazione della concentrazione di pesticidi, o nel campo della difesa per la misura di armi chimiche biologiche.

A marzo sono stata contattata da un collega per creare qualcosa di utile alla situazione pandemica che stiamo vivendo, ovvero abbiamo pensato alla creazione di un test rapido che potesse essere il meno invasivo possibile.

Poiché SARS-CoV-2 può trovarsi anche nella saliva, abbiamo sviluppato un test partendo dalla possibilità di rilevamento salivare [2].

Mentre i test sierologici vanno ad analizzare l’anticorpo all’interno del sangue e i primi giorni non si riesce a vedere se una persona è infetta perché c’è bisogno della risposta anticorpale, noi ci siamo concentrati sull’antigene.

Abbiamo utilizzato come marker la proteina N e la proteina Spike e abbiamo sviluppato il sensore funzionalizzato in un anticorpo che va a catturare l’antigene, catturando l’antigene si riesce a vedere SARS-CoV-2 utilizzando come campionamento il prelievo di saliva e per questo da considerarsi poco invasivo.

In questo progetto molto importante è stata la collaborazione con il Dipartimento Scientifico del Policlinico Militare del Celio, in particolar modo con il Colonello Lista, che ci ha permesso di testare il nostro dispositivo in BL3, ovvero con il virus vero utilizzato nel loro dipartimento.

Abbiamo successivamente confrontato i pazienti risultati positivi e non utilizzando il loro metodo, che è il metodo classico molecolare PCR, con il nostro metodo di screening. In questo modo comparando i dati, non abbiamo testato solamente la funzionalità su carta, ma abbiamo verificato i campioni veri confrontandoli con il metodo che è attualmente utilizzato.

Questo brevetto è stato immesso sul mercato oppure è solo una progettualità mirata alla ricerca?

Il nostro obiettivo era essere utili il prima possibile, quindi abbiamo subito fatto il brevetto e poi siamo passati alla pubblicazione, ora stiamo intrattenendo i rapporti con il Ministero e incaricando delle società per la certificazione e arrivare sul mercato, la nostra è una ricerca autofinanziata e se rimane nel cassetto non ha alcun impatto sulla comunità.

Inizialmente tale test rapido era anche pensato in vista della riapertura delle scuole, proprio perché i bambini non possono fare i tamponi ogni volta e con un piccolo campionamento salivare ci si rende immediatamente conto della positività o meno al virus.

Una cosa importante però che ci tengo a sottolineare, non può essere eseguito come nel caso del glucosio dalla persona stessa, se nel caso del glucosio si sbaglia l’analisi l’errore ricade su chi sta eseguendo personalmente il test, nel caso del virus, se si sbaglia l’analisi l’errore ricade sugli altri. Quindi è sì facilmente applicabile ma deve essere eseguito da personale che lo sappia utilizzare correttamente.

Una domanda ci arriva dal pubblico, quando potrà essere utilizzato?

Normalmente i tempi delle certificazioni sono abbastanza lunghi, ma in questa situazione di emergenza si parla di tempi brevi: una azienda americana interessata, mi diceva che con poche settimane dovremmo riuscire ad ottenere la certificazione. Speriamo!

Passiamo adesso a GOCCIA un progetto che in Ateneo conoscono tutti. Il suo laboratorio è stato tra i promotori dell’iniziativa ed effettua il costante monitoraggio delle acque. Il progetto ora sta entrando in una seconda fase, cosa cambierà nei prossimi mesi?

La ringrazio per l’introduzione a GOCCIA, è un progetto a cui tengo tantissimo e con la coordinazione dell’Ing. Marco Uttaro stiamo rivisitando gli erogatori di acqua a causa del timore della trasmissione del virus.

Ci tengo a precisare che se viene eseguito un corretto utilizzo degli erogatori non c’è alcuna possibile diffusione del virus, purtroppo però qualcuno utilizza borracce non adatte che vanno a toccare l’ugello dell’erogatore.

L’azienda che si occupa della gestione sta lavorando a delle novità sugli erogatori stessi affinché non ci siano bottoni touch per evitare il contatto dell’utente finale, sono previste inoltre delle protezioni meccaniche cosicché l’ugello sia inavvicinabile dalla borraccia e si sta inserendo un diffusore di ozono cosicché dopo l’erogazione dell’acqua ci sia una sorta di disinfezione. Si sta lavorando per rendere tutto estremamente sicuro anche in periodo di Covid-19, così da poter riprendere ad utilizzare GOCCIA e impattare in maniera meno importante dal punto di vista ambientale con le bottiglie di plastica, volendo continuare ad essere un buon esempio per tutti.  

GOCCIA è quindi in fase di update, il Goal 6 dell’Agenda 2030 mira ad un’acqua pura: che qualità di acqua abbiamo bevuto dalle nostre borracce riempite negli erogatori di Ateneo in questi anni?

Partiamo dal presupposto che l’acqua utilizzata è quella di Acea pertanto già estremamente sicura per i tanti controlli cui è sottoposta, nel momento in cui utilizziamo anche i nostri erogatori per cui abbiamo scelto in maniera appropriata i vari filtri riusciamo anche ad abbattere quella piccola quantità di metalli pesanti (piombo, cadmio, che sono sempre nei limiti di legge) che possono essere presenti.

Inoltre con i nostri filtri abbattiamo il sapore di cloro che si può sentire nell’acqua: una delle analisi che faccio è il “cloro libero” per capire l’efficienza dei filtri insieme alla durezza delle acque.

La durezza significa calcio e magnesio, i filtri degli erogatori non sono specifici per abbattere la durezza perché la nostra non è un’acqua oligominerale ma essendo fornita da una azienda agiamo soprattutto per ridurre il cloro e rendere il sapore dell’acqua più gradevole possibile.

[1] Amendola, L., Saurini, M., Di Girolamo, F., & Arduini, F. (2020). A rapid screening method for testing the efficiency of masks in breaking down aerosols. Microchemical Journal, 104928. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0026265X20311723

[2] Fabiani, L., Saroglia, M., Galatà, G., De Santis, R., Fillo, S., Luca, V., Faggioni, G., D’Amore, N., Regalbuto, E., Salvatori, P., Terova, G., Moscone, D., Arduini, F. (2021). Magnetic beads combined with carbon black-based screen-printed electrodes for COVID-19: A reliable and miniaturized electrochemical immunosensor for SARS-CoV-2 detection in saliva. Biosensors and Bioelectronics171, 112686. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0956566320306758?casa_token=U8veykLTJCcAAAAA:1Zly4xweYIJhCleBTG9eLv39sZgoqn__USL9_7mogX15cDRe4_nssakLd-4aoig_UrbGGgft

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