COME SI È CONCLUSA LA COP28?
Si è conclusa un mese fa a Dubai la 28° Conferenza delle Parti, meglio nota come COP28, che ogni anno riunisce i leader e i delegati dei Paesi firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC).
Con un giorno di ritardo rispetto al programma della convention, dopo ore di negoziati, il 13 dicembre 2023 le Parti hanno approvato l’accordo finale della COP, denominato “UAE Consensus” (Consenso degli Emirati Arabi Uniti).
Il punto chiave delle trattative ha riguardato il Global Stocktake (GST), lo strumento individuato dall’accordo di Parigi per verificare lo stato di avanzamento delle politiche climatiche e indirizzare le azioni dei singoli Paesi rispetto agli impegni presi nel 2015.
Il presidente della COP28, Sultan al Jaber, amministratore delegato di ADNOC, l’azienda petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, ha parlato di “risultato storico”, poiché per la prima volta in trent’anni in un documento ufficiale della Conferenza delle Parti si è esplicitata la volontà di abbandonare le fonti fossili per tenere fede all’accordo di Parigi.
In base a quanto stabilito, per mantenere in vita l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali, entro il 2025 tutti gli Stati dovranno presentare i nuovi piani nazionali di azione climatica (Nationally Determined Contributions – NDCs) da approvare nel corso della COP30 in Brasile – considerando che con gli attuali NDCs l’aumento previsto è di 3°C.
Nel documento le Parti vengono “invitate” ad allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici, con una formula (transitioning away) decisamente indebolita rispetto al più impegnativo phasing-out (eliminazione), termine che alla fine non ha trovato spazio nel compromesso che ha accontentato i Paesi produttori di petrolio. La transizione, si legge nel testo dell’accordo, dovrà avvenire “in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, così da raggiungere lo zero netto delle emissioni entro il 2050, seguendo quanto indicato dalla scienza”.
L’accordo di Dubai “invita” poi le Parti a:
- triplicare la produzione di energia da fonti rinnovabili e a raddoppiare i tassi di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030;
- ridurre sostanzialmente (senza specificare in quale misura) le emissioni diverse dalla CO2, incluso il metano, entro il 2030;
- accelerare la riduzione delle emissioni legate al trasporto stradale, sviluppando infrastrutture e favorendo la diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni;
- accelerare gli sforzi per eliminare il carbone, ma solo quello unabated, ovvero quello di cui non si possono assorbire le emissioni con sistemi cosiddetti di cattura e stoccaggio;
- accelerare nelle tecnologie a zero e basse emissioni, incluse le energie rinnovabili, il nucleare, nella produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio, e nelle tecnologie di abbattimento e rimozione come i sistemi di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori difficili da decarbonizzare (hard-to-abate).
Questo ultimo punto, e in generale il discorso legato alle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, ha raccolto diverse critiche, dal momento che questi strumenti di decarbonizzazione sono ancora in fase di validazione, e ad oggi risultano essere inefficaci e molto costosi. Il timore è che possano rappresentare un escamotage per allungare i tempi della transizione e continuare ad utilizzare carbone, petrolio e gas da parte di chi ne trae interesse.
Altro risultato di questa COP è stato rendere operativo, il giorno stesso di apertura dei lavori della Conferenza, il fondo globale Loss & Damage, già previsto dalla COP27. Questo strumento finanziario servirà a fornire assistenza ai Paesi più vulnerabili per far fronte agli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici. Le donazioni da parte dei Paesi più ricchi sono su base volontaria; al momento il fondo ammonta a più di 750 milioni di dollari, più della metà stanziati dall’Unione Europea e dai suoi Stati membri (l’Italia ha contribuito con 100 milioni di euro). Ben poca cosa rispetto alle reali necessità, che richiederebbero investimenti da miliardi di dollari.
Infine, ha destato perplessità la scelta dell’Azerbaigian come Paese ospitante la COP29 del 2024, uno Stato autoritario produttore di combustibili fossili, in cui la libertà di espressione è fortemente limitata.
Emblematiche le parole del ministro delle Risorse naturali e del Commercio della Repubblica delle Isole Marshall, John Silk, alla chiusura dei lavori: “eravamo venuti qui a costruire una canoa, è piena di buchi, eppure dobbiamo comunque metterla in acqua, perché non abbiamo altra scelta”.