G20 e Cop26: la sostenibilità al centro del dialogo

Nel mese di novembre c’è stato un bel fermento tra i giovani manifestanti, sia nelle università che fuori le sedi di eventi per la sostenibilità. I ragazzi hanno tentato vivacemente di tenere alta l’attenzione sul tema dei cambiamenti climatici. Ciò sta a significare che le nuove generazioni si mostrano sempre più attente alle decisioni dei nostri leader mondiali che riguardano il futuro del pianeta.

Il G20 (Gruppo dei 20) e la Cop26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) si sono svolti in due luoghi, Roma e Glasgow, con centonovanta leader mondiali, migliaia di giovani manifestanti e un unico fine: tenere sotto controllo le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici.

L’Italia ha avuto un ruolo da protagonista con la Presidenza del G20 e la partnership con la Gran Bretagna per la Cop26, frutto del suo ruolo strategico nell’area euromediterranea e della sua sensibilità all’accelerazione dei cambiamenti climatici.

A Roma il G20 ha dato ampio respiro al confronto, dando vita – nella giornata conclusiva del vertice – a un’intesa sull’emergenza climatica con l’Italia protagonista dell’accordo, a una più solida collaborazione tra Ue e Usa e alla conferma del tetto massimo di 1,5 gradi per il riscaldamento globale.

Sono stati mossi passi in avanti su altri temi salienti per permettere il pieno raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030:

nell’ambito dell’Educazione con un aumento generale degli sforzi per rendere i sistemi educativi inclusivi, adattabili e resilienti;

Nell’Economia digitale, nell’istruzione superiore e nella ricerca con politiche rivolte a creare un’economia digitale inclusiva, aperta ed equa che permetta alle aziende di prosperare;

nell’Empowerment delle donne con l’impegno per l’uguaglianza di genere e il ruolo centrale della leadership delle donne e delle ragazze a tutti i livelli;

sul piano dell’Energia e del clima con l’impegno di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C e di perseguire sforzi per limitarlo a 1,5°C.

Il dialogo portato avanti a Roma, durante il vertice del G20, è stato orientato a forgiare un’attività in piena intesa per raggiungere il successo della COP26 dell’UNFCCC creando ovviamente alte aspettative. Cop26, infatti, è stato l’incontro organizzato dopo cinque anni dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi.

Nelle intenzioni dei partecipanti prendeva forma l’idea di fissare obiettivi climatici sempre più ambiziosi su un ciclo quinquennale, effettivamente l’evento ha inaugurato la nuova era del multilateralismo, in cui le delegazioni sono riuscite a completare il “Paris rulebook”, il libro delle regole dell’Accordo quadro sul cambiamento climatico.

Bisogna aggiungere che molti degli impegni presi dai Leader durante il G20 sono stati confermati durante lo svolgimento della Cop26:

l’obiettivo 1.5°C è rientrato nei testi negoziali da raccomandazioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change);

i Nationally Determined Contribution (NDC), sono parte di un obiettivo raggiunto parzialmente. Sono obblighi di comunicazione approvati con una clausola di salvaguardia per i paesi che non saranno in grado di comunicare il proprio NDC entro il 2025, rimandando la presentazione al 2030;

il cosiddetto Enhanced Transparency Framework, le tabelle per la nuova reportistica cioè un sistema di controllo reciproco e di monitoraggio degli impegni nazionali che entrerà in vigore per tutti i paesi entro il 2024.

Nonostante la iniziale resistenza di alcuni Paesi non in grado di comunicare tutti i dati, è stato raggiunto un risultato soddisfacente, infatti, non sarà possibile per alcun paese omettere completamente dati che non si riescono a comunicare; inoltre, in merito all’adattamento, è stato approvato il programma di lavoro sul Global Goal of Adaptation, il Glasgow Sharm-El-sheikh Work Programme che mira a monitorare le azioni di adattamento dei Paesi.

Ci sono dei punti che hanno riscontrato delle criticità, nonostante ciò, sono stati concretizzati dei risultati parzialmente promettenti: in merito alla finanza climatica, i 100 miliardi di dollari promessi ai Paesi in via di sviluppo e in difficoltà rispetto ai cambiamenti economico-climatici non solo non sono stati stanziati, ma non si è trovato neanche l’accordo sulla cifra.

In compenso è stato creato un gruppo di lavoro sul tema che prevede riunioni annuali a partire dal 2022, con l’orientamento strategico di raccogliere i fondi entro il 2023 e raddoppiare la cifra entro il 2030; i “Loss and demage” sono stati solo menzionati come diritto, ma nessuna “facility” è stata creata, ovviamente è stato istituito un nuovo tavolo di confronto per proseguire nel dialogo su questo tema, con riunioni annuali per coordinare le attività; altro obiettivo parziale è quello legato alla questione del carbone, dove con un “golpe last minute dell’India è avvenuta la sostituzione di “phase out” con “phase down.

In questo quadro complesso di decisioni c’è una certezza, non possiamo aspettarci che le cose cambino su iniziativa esclusiva dei nostri leader. Le nostre scelte continuano ad essere determinanti, la voce del popolo e le iniziative di diverse comunità, anche universitarie, dovranno dare segnali sempre più forti e concreti con un approccio sostenibile quotidiano, con tavoli condivisi tra imprese, giovani e istituzioni.

In parte tutto ciò sta già accadendo, a Glasgow e a Roma, fuori dalle negoziazioni, c’erano giovani che erano attenti al processo decisionale e che inneggiavano a gran voce al cambiamento. Una cosa è certa: il G20 e la Cop26 hanno mostrato che è tornata in piazza, nelle scuole e nelle università una cittadinanza più attiva e più attenta, quella dei giovani; è da loro che partono le più grandi rivoluzioni culturali e questa volta la sostenibilità è al centro del dialogo.

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