Protagonisti della sostenibilità: intervista alla SIOI

Lunedì 24 gennaio, primo appuntamento dell’Ufficio per lo Sviluppo Sostenibile con le associazioni giovanili per l’intervista ai Giovani Delegati italiani all’ONU, Stefania Bait e Marco Demo, vincitori di “United Nations Youth Delegate Programme (UNYDP)” promosso dalla SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.

Dopo una breve descrizione dei loro background e di cosa li avesse portati alla candidatura per diventare giovani delegati, Marco Demo, laureato in Giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano, racconta le loro attività all’interno dell’ONU.

Oltre a rappresentare i giovani italiani nell’ambito dell’Assemblea Generale nel periodo settembre – novembre 2021, il loro lavoro all’interno della Terza Commissione ha riguardato le negoziazioni relative alla Risoluzione sulle politiche giovanili, mentre a partire dal prossimo febbraio presenzieranno a diversi eventi organizzati dal Consiglio Economico e Sociale dell’Onu sui temi dello sviluppo sostenibile.

Nell’ambito del territorio italiano il loro è un ruolo di “ponte” tra le istituzioni internazionali e la società civile, le scuole e le università, con l’obiettivo di ridurre la lontananza tra i giovani e le organizzazioni.

Stefania Bait, dottoranda dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa, spiega come ognuno di noi possa avere un impatto al raggiungimento degli SDGs scegliendo di agire sia da un punto di vista temporale che spaziale. Il tempo è inteso come il comportamento che si può perseguire decidendo se agire nel presente oppure nel lungo periodo, lo spazio è il livello di territorio locale o globale sul quale si intende operare.

In queste due prospettive al di là delle situazioni da affrontare, siano esse le energie rinnovabili oppure i diritti umani, ciò che per i giovani fa la differenza al raggiungimento degli SDGs è la modalità con cui essi decideranno di essere i protagonisti del presente ma anche del futuro, nel senso che solo i giovani “intraprendenti” nel tempo e nello spazio riusciranno ad avere un impatto sul raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità senza dover recepire in modo passivo le azioni di qualcun altro.

Marco Demo si sente di poter dire che dalla sua esperienza i giovani vengono ascoltati, sia all’interno delle Nazioni Unite che anche in altre istituzioni italiane, come l’Agenzia Nazionale per i Giovani, e riguardo ai progetti che i giovani possono proporre afferma:

“i giovani di oggi sono una generazione che vive la complessità, basti vedere la pandemia e la rivoluzione digitale, viene chiamata la generazione zeta ed è una generazione che può dare tanto perché riesce a tenere insieme diversi punti di vista. Ho fiducia che i giovani avranno sempre più voce in capitolo perché hanno competenze nuove nate dalle circostanze storiche che ci troviamo a vivere negli ultimi anni”.

Con riferimento alla partecipazione attiva dei giovani nei processi decisionali Stefania aggiunge una sua considerazione:

“abbiamo vissuto due situazioni estremamente ambivalenti, in alcuni ambienti ci siamo sentiti realmente coinvolti e la nostra voce ha avuto un senso, in altre circostanze si è rischiato di cadere nel youth washing: ad oggi la partecipazione giovanile e l’importanza di coinvolgere i giovani è diventata un must in tantissimi enti, ma non sempre viene concretizzata nel modo migliore, tante volte c’è la spinta a coinvolgere i giovani per dare un sentore di organizzazione democratica – inclusiva ma poi nella realtà dei fatti non è così”.

Secondo Stefania se da un lato i “non giovani” dovrebbero considerare i “giovani” come un elemento fondamentale per lo sviluppo di una organizzazione, i giovani dal canto loro dovrebbero trovare il modo di permanere nel sistema avendo qualcosa da dire, utilizzando l’espressione inglese di una ragazza attiva per i problemi dell’Artico: “to make you stay, you need to have something to say”.

Per i Giovani Delegati sono tre le linee di azione per rimanere nel sistema: la comprensione della complessità del sistema, lo studio di azioni di lungo periodo ma soprattutto la creazione di una base di valori che porti a considerare “l’altro” come se fosse me e viceversa, perché solamente riconoscendo i problemi del mondo come propri, ogni individuo sarà in grado di prendersi cura del mondo.

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