un caffè con …Alessio D’Amato
L’Ufficio per lo Sviluppo Sostenibile dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” nell’incontro di Lunedì 8 Giugno ha avuto il piacere di ospitare Alessio D’Amato (Dipartimento di Economia e Finanza), docente di corsi di Green Finance, Introduzione agli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, Economia dell’Ambiente ed Economia Pubblica presso il nostro Ateneo nonché presidente eletto di IAERE – Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse Naturali. I rifiuti durante e dopo l’emergenza Covid-19 è il tema dell’incontro.
Conduce l’intervista la Dott.ssa Federica Bosco
Professore, quando parliamo di rifiuti, molto spesso si tende a pensare ad un problema locale, quando in realtà si tratta di una questione ben più ampia di quanto si pensi? Può spiegarci perché?
La questione dei rifiuti è un argomento molto attuale e lo è già da un po’ di tempo. In generale è un tema che viene vissuto in maniera “locale” perché spesso si tende a considerarlo alla luce della nostra esperienza quotidiana, pertanto lo si minimizza ritenendo che basti effettuare una corretta raccolta differenziata e il problema è risolto. In realtà, pur essendo una corretta raccolta differenziata molto importante, i rifiuti hanno una dimensione talvolta inattesa, tale da valicare i confini di regioni e paesi.
A tal riguardo potremmo citare, come esempio, il fenomeno noto come marine litter, cioè i rifiuti solidi che si accumulano nel mare e negli oceani: si tratta di un problema molto grave e dibattuto. I rifiuti abbandonati sono di vario genere, dai derivati della plastica ai mozziconi di sigarette, ed il loro accumularsi porta a fenomeni molto ampi che si possono osservare, ad esempio, nell’Oceano Pacifico (ma non solo), dove si assiste alla formazione di numerose piccole e grandi concentrazioni di rifiuti. Ciò ha conseguenze importanti a livello di impatto ambientale, sia sull’habitat naturale che sulla salute dell’uomo, poiché l’accumularsi di sostanze nocive prodotte dai rifiuti genera effetti negativi sulla salute degli organismi viventi in mare, fino ad arrivare all’uomo (ad esempio sotto forma di alimenti), con conseguenti potenziali danni per la salute umana.
Le conseguenze sono anche di natura economica, poiché compromettono interi settori produttivi come quello della pesca o del turismo, che subiscono perdite ingenti a causa di questo tipo di inquinamento.
Un ulteriore problema di natura internazionale, che coinvolge maggiormente gli addetti ai lavori, è il commercio dei rifiuti stessi. In un recente rapporto dello European Topic Centre on Waste and Materials in a Green Economy (ETC/WMGE) dell’Agenzia Europea dell’Ambiente a cui ho collaborato [1, 2], è emerso che vi sono alcuni paesi, tra cui la Cina, che fino a pochi anni fa importavano una quota significativa dei nostri rifiuti, nello specifico quelli plastici, ma oggi di fatto hanno chiuso o significativamente ridotto tale tipo di importazioni.
Questo ci pone davanti all’ enorme difficoltà di gestire all’ interno del nostro paese e dell’U.E. una grande quantità di rifiuti che prima venivano esportati. Allo stesso tempo si aprono numerose sfide: se da un lato bisogna gestire la mole di rifiuti che non è più possibile esportare, dall’ altro dovremmo accelerare la riduzione nella quantità prodotta di tali rifiuti.
Sempre in riferimento a questo scenario, la pandemia che ci ha colpiti ha ed avrà inevitabilmente delle ripercussioni anche sul tema rifiuti: come cambierà la situazione per quello che riguarda la loro produzione e gestione?
E’ sicuramente complicato fare previsioni, il Covid-19 rappresenta un problema che riguarda ogni aspetto della nostra vita, pertanto è importante riflettere sui rifiuti in questo momento ma anche in un orizzonte temporale più lungo.
Nel breve periodo le persone, anche incoraggiate dai mezzi di informazione, fanno un uso maggiore di dispositivi di protezione individuale, necessari in questa fase per contenere il contagio del virus.
Mi riferisco in particolare alle mascherine che generano e genereranno due tipi di problemi : il primo è legato al fatto che queste spesso appartengono alla categoria di rifiuti speciali di tipo ospedaliero e quindi esiste il rischio che la capacità di trattamento di questo specifico rifiuto sia insufficiente per alcuni paesi; il secondo è dato dalla composizione stessa delle mascherine, di cui esistono varie tipologie, spesso realizzate con numerosi strati di materiali differenti non facilmente separabili, rendendo il prodotto difficilmente riciclabile.
Inoltre c’è un problema di natura sanitaria, sul quale non mi dilungherò non essendo del settore, ma immagino che ci dovrà essere, da parte di chi si occuperà del loro smaltimento, una particolare attenzione nel maneggiare materiale potenzialmente infetto.
Da economista ambientale vorrei piuttosto sottolineare come, in attesa ovviamente di dati definitivi, si osservi in questo periodo una riduzione della quantità di rifiuti prodotta, tale da far (paradossalmente) sembrare che il Covid-19 abbia avuto un impatto positivo sull’ ambiente.
Ciò è stato riscontrato anche per le conseguenze che il Covid-19 ha avuto per altri tipi di “impatto ambientale” riferibili all’ inquinamento, quali, ad esempio, la apparente maggiore pulizia delle acque del fiume Tevere o del Lido di Venezia, o il significativo miglioramento della qualità dell’atmosfera, osservato tramite le mappe satellitari relative ad alcuni paesi.
Nel complesso quindi vi è stata una diminuzione della produzione di rifiuti a causa della contrazione dell’attività economica. Questa in sé non è una buona notizia. La domanda allora è, come facciamo a farla diventare tale? La cosa che si può provare a fare è evitare che il recupero e quindi l’uscita dalla fase di crisi diventi un ulteriore fattore di impatto ambientale, cosa che è accaduta invece, ad esempio, con riferimento alle emissioni di C02 , quindi al problema dei cambiamenti climatici, nelle fasi di uscita dalla crisi finanziaria del 2007-2009 [3].
Adesso la sfida sarebbe quella di comprendere in quale misura la riduzione della quantità di rifiuti prodotti sia dovuta ad un cambiamento comportamentale e quanto invece sia riconducibile ad una situazione contingente del tipo “non si produce, non si consuma, non si producono rifiuti”. Questo è un aspetto rilevante perché nell’ ambito della produzione dei rifiuti fornire le giuste motivazioni per le scelte individuali è molto importante. Pertanto bisognerebbe approfittarne per cambiare il nostro atteggiamento a favore di un comportamento “circolare”. Ciò si traduce nel comprendere quanto la raccolta differenziata sia ancor più efficace se associata alla riduzione della quantità di rifiuti prodotti e quindi alla riduzione di consumo di materie prime.
Nel precedente incontro, la prof.ssa Di Renzo ci ha parlato della ricerca da lei condotta sulle abitudini alimentari e gli stili di vita degli italiani durante il periodo di lockdown; so che anche lei sta lavorando a temi strettamente collegati, come gli sprechi alimentari. Può fornirci un approfondimento a tal riguardo?
Volentieri. Io mi occupo di temi legati all’economia dei rifiuti da un po’ di tempo e questo mi ha permesso di confrontarmi con la Prof.ssa Di Renzo, con la quale si è creata una sinergia nel contesto della stesura di un questionario sulle abitudini alimentari rivolto agli studenti universitari, su cui lei ed il suo team già stavano lavorando. E’ emersa in particolare la possibilità di introdurre alcune domande sullo spreco alimentare all’ interno di tale questionario.
Tra i progetti legati al cibo in cui sono coinvolto vi è inoltre un progetto di ricerca (che coinvolge, tra gli altri, la mia collega di Dipartimento, Prof.ssa Zoli) basato sulla constatazione che una parte non trascurabile dei rifiuti da cibo è dovuta ad una errata comprensione o ad una scarsa informazione in merito alle etichette di scadenza da parte dei consumatori finali. Da un’indagine promossa da Eurobarometro si evince che poco meno di un quarto dei cittadini europei intervistati considera la formula “da consumarsi preferibilmente entro…” come avviso per cui dopo quella data si debba buttare il prodotto, comportando un potenziale spreco di cibo [4]. Il nostro obiettivo è quindi cercare di capire quanto le persone siano a conoscenza del significato delle etichette di scadenza e quanto possa migliorare la loro consapevolezza ed il loro comportamento, incrementando la qualità delle informazioni messe a loro disposizione [5].
Ci auguriamo che questo contributo possa essere importante al fine di ridurre almeno lo spreco di cibo, che è una parte importante della nostra attività di ricerca, attraverso una buona informazione.
Ricollegandoci al Covid-19, la ricerca della Prof.ssa Di Renzo, che ha prodotto in generale risultati veramente interessanti, ha mostrato nello specifico un atteggiamento positivo delle persone in riferimento allo spreco di cibo durante il lockdown. Un’ulteriore sinergia di ricerca riguarderà approfondimenti su questo tema.
Possiamo concludere che comprendere come siano cambiati i comportamenti individuali in rapporto ai rifiuti, in particolare quelli alimentari, ci permetterà anche di capire quali sono gli stimoli che li influenzano e come sia possibile “guidare” i comportamenti individuali in una direzione maggiormente sostenibile.
[2] https://www.eea.europa.eu/themes/waste/resource-efficiency/the-plastic-waste-trade-in
[3] https://lifedicetproject.eui.eu/2020/04/08/covid-19-climate-policy-and-carbon-markets/
[4] https://ec.europa.eu/commfrontoffice/publicopinion/index.cfm/ResultDoc/download/DocumentKy/68405
[5] D’Amato A. Goeschl T. Lorè L. Zoli, M. “Date Marks, Valuation, and Food Waste: An In-Store ‘Eggsperiment’. Il lavoro verrà presentato alla 25ma Conferenza Annuale della Associazione Europea Economisti Ambientali e delle Risorse Naturali (EAERE): http://www.eaere-conferences.org/index.php?p=178.